Il mio cuore a Tienanmen
di Lanfranco Norcini Pala
Pensavamo di aver visto tutto nell’Unione Sovietica prima di Gorbaciov. E invece, per avere lo specchio del totalitarismo più cieco, mancava la visita a Pyongyang, capitale della Corea del Nord.
Tutto comincia nel 1988. Sono in programma a Seoul, nella Corea del Sud, i Giochi della XXIV Olimpiade. La Corea del Nord, confidando nei buoni uffici dell’Unione Sovietica, pensa di poter ospitare parte delle gare: nell’epoca della perestrojka e della glasnost ha bisogno di mostrarsi accogliente e in linea con il nuovo corso di Gorbaciov. A Pyongyang viene costruito un enorme villaggio olimpico con alloggi e strutture sportive. Ma le cose non vanno per il verso giusto. Seoul si tiene tutti i giochi. La Corea del Nord, offesa e delusa, addirittura diserta le Olimpiadi ma preme su Mosca per un risarcimento.
E’ per questo che nel 1989 Gorbaciov ed i mai giovani dirigenti del Komsomol (l’organizzazione dei giovani comunisti sovietici) “regalano” al dittatore coreano Kim Il Sung una edizione del Festival Mondiale della Gioventù. Lo fanno malvolentieri: gli uomini di Gorbaciov pensano di marciare veloce verso una nuova democrazia, la Corea del Nord è per loro un retaggio di “comunismo tossico”. Ma è un atto dovuto verso un paese che si riferisce sempre di più alla Cina e che non bisogna lasciare troppo solo.
A guastare la festa a Kim Il Sung, in quello storico 1989, è invece la strage di Piazza Tienanmen. Una folta delegazione di occidentali, oltre 150 solo gli italiani, arriva a Pyongyang con la ferma intenzione di non restare in silenzio sul massacro cinese. “Il mio cuore a Tienanmen”: al passaggio della delegazione cinese nella grande parata allo stadio, sono centinaia i giovani europei che indossarono una fascia bianca con la scritta rossa. Si scatena il finimondo. Agenti nordcoreani spuntano da ogni dove e sugli spalti siamo aggrediti senza riserve. Le concitate sequenze della mia telecamera amatoriale faranno poi il giro del mondo.
Il nostro cuore era veramente a Tienanmen. L’immagine del giovane sconosciuto che ferma una colonna di carri armati albergava nel profondo delle nostre coscienze. Che la protesta dei giovani fosse scoppiata in occasione della visita a Pechino di Michail Gorbaciov era un segnale chiarissimo: gli studenti chiedevano riforme democratiche, Gorbaciov era il loro modello. Era, per molti versi, anche il nostro: il leader sovietico rappresentava una reale opportunità per la fine della guerra fredda, per il cambiamento dei rapporti est-ovest e per l’apertura di una nuova stagione di democrazia in tutti i paesi del blocco sovietico. Avevo avuto l’occasione di essere presentato a Gorbaciov l’anno precedente a Mosca: un personaggio algido ma di enorme carisma, lucido e risoluto. Non credo che sarà mai amato dai russi quanto fu amato da noi giovani occidentali di quegli anni.
Il nostro cuore era a Tienanmen perché da quella piazza era venuta una dura sconfitta a questa idea di un cambiamento planetario. Quel giugno 1989 vedeva il comunismo già dissolto in Polonia, ormai chiaramente al tramonto in Russia, prossimo a cadere anche in Ungheria, nella Germania dell’Est, in Cecoslovacchia, in Bulgaria, in Romania. Ma sul massacro dei giovani studenti cinesi, il nostro “eroe” del cambiamento aveva taciuto. Gorbaciov ha parlato per la prima volta in questi giorni di celebrazioni: “Sì, io c’ero. Non potrò mai dimenticare il dolore che leggevo sul volto di Zhao Ziyang, né le facce stanche e gli occhi pieni di speranza degli studenti che mi venivano vicino, sorridenti, e dicevano “perestrojka, perestrojka”. Era il loro modo di chiedere aiuto, ma io non potevo fare nulla. Di questa normalizzazione dei rapporti avevamo bisogno noi, ne aveva bisogno la Cina e, io dico, ne aveva bisogno il mondo”.
Si, forse il nostro Misha aveva ancora una volta ragione. Forse eravamo troppo giovani e troppo esuberanti per capirlo. Ma quelle fasce bianche con le scritte rosse che i nordcoreani cercarono di strapparci le conserviamo ancora. La ipocrita e farsesca grandeur di un orribile dittatore come Kim Il Sung era la nostra esperienza di un mondo che non volevamo e che non vogliamo. Ecco perché, ancora oggi come vent’anni fa, il nostro cuore è a Tienanmen.